Nel corridoio l’aria era gelida. Jurgen era appena uscito dalla stanza dove era allettata la madre del suo amico. Voleva cambiare aria, passare il tempo – qualche minuto – divagando nel corridoio, esplorando i confini di questo terzo piano. La finestra del fondo poteva rivelare qualche scorcio nascosto, e Jurgen intraprende questo viaggio nell’orrore. Ogni stanza passata rivela una scena epica: dei Caravaggio moderni in ricostruzione 3D: persone in piedi guardano altre persone sdraiate, anziane (molto anziane), sofferenti, mani tese, visi contorti, lamenti. Le porte dell’aldilà pensa Jurgen con riferimento agli Etruschi. Ma qui non era – evidentemente -, quella porta dell’aldilà glorioso – il passaggio mitico dalla vita alla morte – qui era la porta dei pesci in faccia – e poi te ne vai avvolto dal tuo pannolone. Era la signora che l’aveva detto: “qui ti trattano a pesci in faccia!”. Ogni porta passata è un secondo fermo nel tempo, quasi un’ eternità, dove a volte si incontrano sguardi lividi nell’attesa. Jurgen arrivava alla fine del corridoio: la sensazione di freddo diventava sempre più forte – una sensazione di mal di gola o di raffreddore che irritava Jurgen. Con molta probabilità la madre del suo amico che era stata trasferita qui dopo una frattura aveva preso o almeno peggiorato la polmonite da stasi, proprio cosi, quando l’hanno lavata, senza troppe cerimonie e fatta passare proprio in questo corridoio. Era il protocollo dei pesci in faccia. La doccia a tutti esattamente nel giorno stabilito, senza compromessi, né valutazioni di sorta sullo stato fisico dei pazienti.

Ma quello che colpiva non era che la villa, nel suo insieme abbastanza amena, si ravvicinava forse più a un centro di maltrattamento per persone in fine di percorso che a una casa di cura… Nella villa si respirava qualcosa di strano, qualcosa di molto più fetido che l’odore aspro di qualche pannolone sporco di questi poveri anziani in agonia – era l’odore dell’oligarchia rampante. Di quell’oligarchia purulenta e distruttrice dove alcuni hanno dei privilegi per i quali pensano di distinguersi dai comuni mortali e meritare più degli altri. La voglia di distinguersi li spinge così lontano nell’insanità che per qualche Euro in più sono pronti a tutto, pronti a dare la sofferenza, pronti a spalmarsi delle feci raccolte nei pannoloni. Hanno perso la strada. Pensano di distinguersi, di essere tutto, ma sono il fondo del cesso. Dirigenti ben vestiti e profumati chiusi nei loro uffici climatizzati privi di qualsiasi scrupolo di coscienza ed empatia, pronti a distruggere il sistema sanitario pur di distinguersi, come bravi manager di aziende produttive. Poi ci sono tutti gli altri, gli eroi del servizio sanitario: infermieri, medici, e altri operatori sanitari che svolgono un lavoro colossale e di pregio, ma che attuano in condizioni inaccettabili e sono spesso costretti a trascurare i pazienti per riuscire a compiere gli incarichi nei tempi e nei modi stabiliti.

Iniziando il ritorno alla stanza, Jurgen ripensa ai 3 bambini di qualche sera prima. Avevano 6 anni circa. All’estremità di uno di quei tavoli da buffet di matrimonio. Due seduti che parlavano, ed il terzo in piedi che all’improvviso propone una sfida: “facciamo una gara di altezza!” sapendo di essere il più alto. Ma per fortuna gli altri lo ignorano e l’aspirante vincitore dovrà aspettare un altro momento per avere il piacere di “spalmare una goccia del suo miele sulla lingua di un’ altro”. Così diceva Nietsche in Aurore a proposito del bisogno di distinguersi.

Poi di ritorno alla stanza di partenza, un po’ stordito da questo viaggio senza fine, Jurgen si gira un’ ultima volta verso la finestra del fondo. Gli viene in mente “il sovrano assoluto!” come lo chiamava la signora, questo diceva che la polmonite era stata curata, che non aveva la febbre, che i polmoni erano puliti – nonostante il rantolo udibile anche a orecchio nudo. Per fortuna almeno questa vicenda si è conclusa temporaneamente bene, l’anziana mamma è uscita dalla villa e la polmonite è passata. La sua vita non si è conclusa tra bagni forzosi e pannoloni non cambiati, può sperare di morire serenamente nel suo letto, nel sonno, accompagnata dall’amore e dal rispetto di chi la vede come un essere fragile e bisognoso di cure e non come un numero di letto ed una pratica da chiudere.